
“Il Karate è violento?” Una risposta che parte dal cuore della pratica
È una delle prime domande che ci vengono rivolte, soprattutto dai genitori:
“Il Karate è violento?”
Una domanda lecita. E importante.
Perché a chi guarda da fuori, può sembrare che il Karate sia fatto di pugni, calci, urla, combattimenti.
Eppure, chi pratica davvero lo sa: il Karate è l’opposto della violenza.
Non nasce per attaccare.
Non cresce nella rabbia.
Non si nutre della forza bruta.
Il Karate è un’educazione al controllo, al rispetto e alla consapevolezza.
La violenza nasce dalla reazione. Il Karate educa alla risposta
Il filosofo Norberto Bobbio scriveva che “la violenza è la negazione della parola”.
Potremmo aggiungere: è anche la negazione della presenza.
Si agisce in modo violento quando si perde il contatto con sé stessi, quando si è travolti dall’impulso.
Il Karate, al contrario, è un continuo allenamento alla presenza:
A riconoscere l’impulso prima che esploda.
A respirare prima di reagire.
A scegliere come rispondere.
Come spiega il neuroscienziato Daniel Siegel, autore di La mente relazionale, “l’autoregolazione emotiva si costruisce attraverso la consapevolezza corporea”.
Il Karate, con i suoi gesti precisi e ripetuti, educa proprio questa consapevolezza.
Non spegne l’energia. La incanala.
Una disciplina che parte dal rispetto
Nel Dōjō si impara a salutare prima di iniziare.
Si chiede il permesso. Si ringrazia. Si attende.
Ogni gesto è regolato da un’etica profonda:
non quella della forza che impone, ma della forza che rispetta.
Non si combatte per vincere. Si pratica per conoscersi.
Non si colpisce per ferire. Si impara a controllare.
Non si vince sugli altri. Si cresce dentro di sé.
Il fondatore del Karate moderno, Gichin Funakoshi, scriveva:
“Il Karate comincia e finisce con il rispetto.”
Ed è così, ancora oggi, in ogni Dōjō che conserva la sua essenza.
La vera forza è saper fermarsi
La forza che il Karate coltiva non è aggressività.
È presenza mentale. È dominio di sé. È lucidità nel corpo.
Secondo lo psicologo Albert Bandura, noto per la teoria dell’apprendimento sociale, i comportamenti aggressivi si riducono quando la persona ha strumenti di regolazione e modelli educativi stabili.
Il Dōjō è, in questo senso, un luogo di modellamento positivo:
Si osservano insegnanti coerenti.
Si pratica in un ambiente di regole chiare.
Si sviluppa la capacità di distinguere potenza da prepotenza.
Questo è uno degli aspetti più apprezzati dai genitori:
i bambini che praticano Karate non diventano più aggressivi.
Diventano più centrati, più sicuri, più capaci di riconoscere il momento giusto per agire — e per non agire.
Un’educazione alla responsabilità
In un’epoca in cui molti ragazzi faticano a gestire la frustrazione, a tollerare un no, a riconoscere i propri limiti, il Karate offre qualcosa di raro:
una via per imparare a stare nella propria forza con responsabilità.
Senza bisogno di imporsi.
Senza bisogno di dimostrare nulla.
Senza paura di essere sé stessi.
La risposta è nella pratica
Chi teme che il Karate alimenti la violenza può stare tranquillo:
in un Dōjō serio e tradizionale, accade l’opposto.
Il Karate non arma. Disarma.
Non insegna a vincere, ma a conoscere.
Non esalta il gesto. Coltiva la coscienza.
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“Il Karate non rende forti per colpire. Rende forti per scegliere.”