“Il Karate è violento?” Una risposta che parte dal cuore della pratica

“Il Karate è violento?” Una risposta che parte dal cuore della pratica

July 22, 20253 min read

È una delle prime domande che ci vengono rivolte, soprattutto dai genitori:

“Il Karate è violento?”

Una domanda lecita. E importante.

Perché a chi guarda da fuori, può sembrare che il Karate sia fatto di pugni, calci, urla, combattimenti.

Eppure, chi pratica davvero lo sa: il Karate è l’opposto della violenza.

Non nasce per attaccare.

Non cresce nella rabbia.

Non si nutre della forza bruta.

Il Karate è un’educazione al controllo, al rispetto e alla consapevolezza.


La violenza nasce dalla reazione. Il Karate educa alla risposta

Il filosofo Norberto Bobbio scriveva che “la violenza è la negazione della parola”.

Potremmo aggiungere: è anche la negazione della presenza.

Si agisce in modo violento quando si perde il contatto con sé stessi, quando si è travolti dall’impulso.

Il Karate, al contrario, è un continuo allenamento alla presenza:

  • A riconoscere l’impulso prima che esploda.

  • A respirare prima di reagire.

  • A scegliere come rispondere.

Come spiega il neuroscienziato Daniel Siegel, autore di La mente relazionale, “l’autoregolazione emotiva si costruisce attraverso la consapevolezza corporea”.

Il Karate, con i suoi gesti precisi e ripetuti, educa proprio questa consapevolezza.

Non spegne l’energia. La incanala.


Una disciplina che parte dal rispetto

Nel Dōjō si impara a salutare prima di iniziare.

Si chiede il permesso. Si ringrazia. Si attende.

Ogni gesto è regolato da un’etica profonda:

non quella della forza che impone, ma della forza che rispetta.

  • Non si combatte per vincere. Si pratica per conoscersi.

  • Non si colpisce per ferire. Si impara a controllare.

  • Non si vince sugli altri. Si cresce dentro di sé.


Il fondatore del Karate moderno, Gichin Funakoshi, scriveva:

“Il Karate comincia e finisce con il rispetto.”

Ed è così, ancora oggi, in ogni Dōjō che conserva la sua essenza.


La vera forza è saper fermarsi

La forza che il Karate coltiva non è aggressività.

È presenza mentale. È dominio di sé. È lucidità nel corpo.

Secondo lo psicologo Albert Bandura, noto per la teoria dell’apprendimento sociale, i comportamenti aggressivi si riducono quando la persona ha strumenti di regolazione e modelli educativi stabili.

Il Dōjō è, in questo senso, un luogo di modellamento positivo:

  • Si osservano insegnanti coerenti.

  • Si pratica in un ambiente di regole chiare.

  • Si sviluppa la capacità di distinguere potenza da prepotenza.

Questo è uno degli aspetti più apprezzati dai genitori:

i bambini che praticano Karate non diventano più aggressivi.

Diventano più centrati, più sicuri, più capaci di riconoscere il momento giusto per agire — e per non agire.


Un’educazione alla responsabilità

In un’epoca in cui molti ragazzi faticano a gestire la frustrazione, a tollerare un no, a riconoscere i propri limiti, il Karate offre qualcosa di raro:

una via per imparare a stare nella propria forza con responsabilità.

  • Senza bisogno di imporsi.

  • Senza bisogno di dimostrare nulla.

  • Senza paura di essere sé stessi.


La risposta è nella pratica

Chi teme che il Karate alimenti la violenza può stare tranquillo:

in un Dōjō serio e tradizionale, accade l’opposto.

Il Karate non arma. Disarma.

Non insegna a vincere, ma a conoscere.

Non esalta il gesto. Coltiva la coscienza.


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“Il Karate non rende forti per colpire. Rende forti per scegliere.”

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