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Il vero coraggio non è affrontare gli altri, ma affrontare noi stessi

August 22, 20253 min read

A volte non serve un evento clamoroso per metterci in discussione: basta poco, una frase che ci rimane addosso, un dubbio che non riusciamo a zittire, un'intuizione fugace che però ritorna. Non è ancora una direzione chiara, ma ci toglie pace. È il segnale che qualcosa, dentro, si sta muovendo.

Platone avrebbe parlato di anámnēsis, il ricordo di qualcosa di autentico che già ci appartiene. Ma riconoscerlo non basta: sentire ciò che è vero, ciò che ci emoziona, ciò che ci smuove è solo l'inizio.

Perché possiamo anche intuire la nostra strada, ma se non la percorriamo quella verità diventa peso, rischia di marcire dentro e da promessa si trasforma in frustrazione.


Il termine "coraggio", lo dice l'etimologia, viene dal cuore (cor habeo), ma il cuore, come ci ricorda Erich Fromm, non basta ascoltarlo: va anche allenato a scegliere. Se resta fermo, inaridisce.

Il coraggio però viene spesso confuso. A volte lo scambiamo per orgoglio, quando ci irrigidiamo pur di non mostrare incertezza. Altre volte per temerarietà, quella spinta istintiva che ci fa reagire per affermarci o per scaricare tensione. Ma reagire non è la stessa cosa che rispondere. La prima è dettata dalla chimica del momento, la seconda dalla consapevolezza.

Il coraggio autentico è un'altra cosa. È il gesto silenzioso di chi agisce in coerenza con ciò che sente, non per dimostrare qualcosa a qualcuno, ma per rispondere a una voce interiore che non può più essere ignorata. Una voce che non urla, ma insiste. Una spinta che non cerca il rischio, ma il senso.


Søren Kierkegaard parlava del "salto della fede", non come atto cieco ma come accettazione lucida dell'incertezza. Quel salto non lo fai perché hai tutto sotto controllo, lo fai perché rimanere fermi è diventato insopportabile.

Nel Dōjō questo lo impariamo nel corpo: non si aspetta di sapere tutto prima di iniziare. Si entra, si prova, si sbaglia, si riprova. E così, piano piano, si cresce.

Non è un'idea romantica, è una pratica concreta: presenza, disciplina, attenzione. Ogni volta che decidiamo di esserci, anche se non ci sentiamo pronti, stiamo costruendo forza.


Nietzsche scriveva "Diventa ciò che sei", una frase potente ma spesso fraintesa. Non dice "Scopri ciò che sei", dice "Diventa". E questo processo non è costruzione, ma liberazione. Non si tratta di aggiungere, ma di togliere ciò che nasconde la nostra autenticità. Con scelte, azioni, tentativi. Non con l'attesa.

Ciò che spesso ci frena non è il timore di non riuscire, è il timore di riuscirci. Perché da lì in poi non possiamo più far finta di niente, non possiamo più raccontarci che non era il momento o che dipendeva dagli altri.

Il vero coraggio, allora, è questo: ascoltare quella voce, e poi agire. Anche senza certezze, anche senza garanzie.

Come nel Karate: non si diventa forti e poi si comincia. Si comincia, e diventiamo forti un gesto alla volta.


Questo è il nostro punto di vista, maturato nella pratica e nell'osservazione, non una verità assoluta. Non nasce dal desiderio di insegnare, ma dal bisogno di condividere ciò che abbiamo vissuto e che continuiamo a sperimentare ogni giorno.

Perché nel coraggio, come nella crescita, non c'è una formula. Ma ci sono scelte, sensibilità, ascolto. E, forse, un passo alla volta, un modo più autentico di essere nel mondo.

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